lunedì 30 marzo 2009

Pellegrini

Da domani e per due giorni, saremo fagocitati da pellegrini italiani per cui tradurremo spiegazioni delle guide dall'Inglese all'Italiano.

Sono sepolta da informazioni su Nazareth, Betlemme e racconti di miracoli vari.

A pensarci bene, mi piacerebbe trasformare l'acqua in vino.

Faccio un salto a Cana e poi vi dico.

domenica 29 marzo 2009

Mejadra, una pelle splendida e parecchi cristiani (Shabbat/3)


Mejadra si vede spesso nei baracchini/ristoranti di Gerusalemme – e credo nei baracchini di tutta Israele. Mejadra, dal nome così evocativo, è in realtà un proletarissimo piattone di riso e lenticchie, insaporito da tonnellate di cipolla e cumino, la cui ricetta ho preso dal primo libro comprato qui in Israele: "The Book of New Israeli Food".

Insomma, fa molto più fine dire al Pucciu: “Amore ciccino adorato, venerdì ti faccio Mejadra e la mangiamo prima di andare a visitare la città vecchia” che dire “Ciccio, c’è riso e lenticchie che è piatto unico e l’ho dovuto solo scongelare”.



Comunque, per niente appesantiti da tonnellate di Mejadra, abbiamo visitato il quartiere cristiano della Città Vecchia, scoprendo una moltitudine di chiese appartenenti alle denominazioni più diverse: i Greci cattolici, il Patriarcato copto, i Francescani, che hanno la custodia della Terra Santa da qualche centinaio di anni, il Patriarcato etiope.


Dallo suk siamo finiti, passando in mezzo a bambini arabi che giocavano a calcio con la maglia di una qualche squadra italiana, in quello che per ora è uno dei miei luoghi preferiti: il Deir Es Sultan compound - naturalmente conteso da diverse denominazioni – da cui si ha accesso a due cappelle minuscole e poi al cortile del Santo Sepolcro. Qui foto molto più belle delle mie ed il racconto della disputa.




Tra profumi di incenso, un arco dell’epoca di Adriano conservato dentro una chiesa russa, pellegrini che tradizionalmente ripercorrono la Via Dolorosa il venerdì, pregando e leggendo il Vangelo, sopra tutto si sovrappone la voce del muezzin che richiama i credenti alla preghiere, e ti fa pensare “solo qui”; nel bene e nel male.

Adesso Shabbat è finito ed il Pucciu mi dedica il verso immortale degli Afterhours: “Voglio un pensiero superficiale che renda la pelle spendida”.

Che inizi presto questa settimana.

giovedì 26 marzo 2009

La contribuente

Telefono pubblico sotto casa, abbracciata ad un espositore di scope.

Hello, sono una ex prof dell’Università, non mi avete mandato i documenti per le tasse, vi ho scritto tre volte, le tasse vanno pagate entro il 15 aprile, voi dovete aiutarmi.

Dovete spedirmi il cartaceo? Ma ci impiega un sacco, sono italiana, ma ora sto a Gerusalemme, devo poi rimandare tutto indietro negli States per il 15 aprile non ce la farò mai!

Intanto i gatti fanno cerchi sempre più stretti intorno a me, valutando la consistenza delle mie chiappe di pura carnazza italiana e il venditore di scope le mette in ordine dandomi parecchio fastidio, clacson vanno che è un piacere, il venditore di CD sta bloccando il traffico ballando in mezzo alla strada il sobrissimo “Disco Partizani”

(Questo):



Lei non capisce – voce da orfanella – lei è americano del Midwest, si trova in un tranquillo ufficio in campus, io sono qui in mezzo a una strada, minaccia di piovere. Il Medio Oriente, non è Cincinnati, tutta ordinata, macchinoni e nessuno che cammina per la strada, qui ci sono gatti feroci, urlano e cioccano per la strada, è un mondo tutto diverso, si scordi i suoi sorry etc, e peraltro, ho guadagnato così poco che ho diritto ad un rimborso delle tasse, mi seccherebbe perderlo per via del ritardo, ho dietro una fila di signori e signore immigrate indiani che vogliono chiamare casa, lei mi deve aiutare!

Senta, non me ne frega, se vede il cartaceo mi dia i numeri!

La autorizzo, lei può sapere tutto di me, non avremo segreti Mr. Non mi ricordo il nome, mi perdoni, però già sento di amarla, lo sa?

Ricevuta la copia scansionata stamattina via email, scopro che il rimborso mi copre parte del corso di ebraico. Amo pagare le tasse.

martedì 24 marzo 2009

A Lilith è andata peggio

Quando mi scazzo e mi sta per venire la sindrome da povera fiammiferaia, che oltretutto non trova riscontro da nessuna parte, dato che il pucciu, invece di farmi crogiolare nello scazzo me ne distoglie, penso che tutto sommato alla povera Lilith andò molto peggio.

Dunque: c’è Adamo che ha ovviamente bisogno di una compagna, non può stare tutto solo nell’Eden.

Allora il Creatore prende la polvere e crea la sua compagna: Lilith. Lilith è una tipa tosta, in tutto e per tutto pari ad Adamo, vuole anche stare sopra quando fanno l’amore, che immagino per i tempi sia stato considerato un po’ ardito. Adamo, essendo il prototipo dell’uomo medio lamentoso dice al Creatore: “Questa vuole essere pari a me! Quando ti ho chiesto una compagna non intendevo una così?”

Evidentemente Adamo non aveva ancora sentito dire: “Hai voluto la bicicletta e allora pedala!”.

Lilith sente Adamo lamentarsi e se ne va lontanissimo dall’Eden. Quella piaga di Adamo naturalmente adesso si lamenta che è stato abbandonato.

Lilith si rifiuta di tornare e come maledizione, siccome partoriva ogni giorno centinaia di bambinelli, i piccoli le muoiono tutti, ogni volta.
Lei non fa un plissé davanti alla maledizione e si dedica a massacrare i figli altrui. Anche se i tre angeli Senoy, Sansenoy e Semangelof la obbligano a promettere di avvertire le madri di mettere al collo dei piccoli un amuleto con i loro nomi, annullando di fatto le possibilità che lei possa ucciderli.

Lei ha sempre mantenuto la parola ed io comunque rivendico il diritto di crogiolarmi nei miei scazzi.

domenica 22 marzo 2009

Shabbat/2



Dovevamo andare da amici in kibbutz per il week end ed invece no.

Allora classico pranzo del sabato a casa di un' amica, in compagnia del marito - compositore- del loro bambino e di un loro amico che e' regista. La magnata e' stata al solito ottima e abbondante, e il fatto che per raggiungere la loro casa ci siamo fatti 5km a piedi - no trasporto pubblico a Gerusalemme di Shabbat- ci ha solleticato l'appetito.

Che peraltro non manca mai.

Durante il pranzo, dopo aver sfottuto per alcuni minuti lo slang delle collegiali americane, farcito di "Oh my Gosh! This is sooooo cute!I am overwhelmed!" (qui e' pieno di americani/e), ci viene rivelato che la madre del regista e' americana, ma grazie al cielo non e' piu' collegiale.

Oh. My. Ghosh. This is not cute.

Il pranzo e' proseguito piacevolmente senza mie ulteriori gaffes, anzi con un uso dell'inglese piuttosto rilassato, grazie al vino rosso. Mi è ancora difficile distinguere l'ebraico dall'ungherese, che il marito della nostra amica parla con il bambino, ma mi rifaro'.

Al pranzo di Shabbat segue la passeggiata digestiva a Ramat Rachel, che in piu' di una guerra e' stato il confine tra Israele e Giordania, da dove si vede in lontananza Betlemme, un villaggio arabo, il deserto e si passa vicino ad un kibbutz e a delle trincee del 1949.


Scene surreali di bambini arabi che accudiscono le capre con accanto una BMW, un monumento con degli ulivi in cima.



Poi oggi siamo andati al Santo Sepolcro e non ci sono stati tafferugli tra i frati, quindi e' stato proprio un bel week end.

giovedì 19 marzo 2009

I gatti di Mahane Yehuda

Mahane Yehuda è il nostro quartiere. Nel quartiere c’è un mercato. Nel mercato ci sono dei gatti molto grossi. Nei gatti molto grossi ci sono - mi auguro - dei bei topolini che quindi io non mi ritroverò mai in casa.

La leggenda dice che i gatti di Mahane Yehuda attacchino i cani, e si narra di un attacco ad un Labrador. Di notte i gatti di Mahane Yehuda combattono con versi che gelano il sangue, e quando apro la porta di casa alcune volte ne trovo uno pronto all’attacco.

Ora: quando un gatto di Mahane Yehuda appena ti vede ti rigurgita il suo pranzo sul tuo pianerottolo come buongiorno per il mattino appena iniziato, quale sarà mai il significato simbolico nascosto da decifrare?

mercoledì 18 marzo 2009

Intanto in Israele

Haaretz oggi riporta un articolo secondo cui alti esponenti del governo egiziano sono disposti a dimenticare che Avigdor Lieberman, probabile futuro ministro degli esteri israeliano, QUANDO Israele avrà un governo, tempo fa dichiarò che Mubarak - presidente egiziano -"poteva anche andarsene all'inferno".

Quando si dice un buon inizio.

Nel frattempo Gideon Levy, famoso giornalista israeliano liberal che pubblica regolarmente su Haaretz scrive un articolo Has anyone in Israel asked why the Swedes hate us?molto duro, evidenziando che, al di là di alcune manifestazioni, come quelle che si sono svolte recentemente in Svezia, e al di là dell'aperta condanna per determinate decisioni politiche di Israele - vedi insediamenti, l'opinione internazionale sia per la maggior parte sempre favorevole a Israele, malgrado tutto.

martedì 17 marzo 2009

Casalinga

"Sai Pucciu oggi sono andata a comprare il pranzo (le solite due bourekas al formaggio) e gli ho detto in ebraico che volevo un sacchetto piccolo (=sakit katàn)"

"che brava amore, tesoro, sei bravissima, ma vedi che stai imparando l'ebraico?"

Mi starà prendendo per i fondelli?

Per il resto, a livello lavorativo qualche porta si socchiude e aspetto un allineamento di tutta una serie di pianeti per vedere se delle cose andranno in porto, se delle occasioni si presenteranno. A volte mi preoccupo, ma poi a guardarsi intorno mi rendo conto di essere in buona compagnia.

Il pucciunel frattempo sta vigliaccamente cercando di trasformarmi in casalinga: "eh sai, quando eravamo a Cincinnati facevo tutto io, tu eri sempre incasinata, lasciatelo dire, i lavori di casa non sono mai finiti!" "Uh, guarda, ci sarebbe giusto da stirare un paio di mie camicie, uh guarda, i piatti sono da lavare, uh la cena la fai tu?"

Per ora l'attività casalinga che mi da più brividi è stendere il bucato sul balcone e farmi venire le vertigini.

Non è un mestiere per tutti.

lunedì 16 marzo 2009

Questo venerdì dovevamo andare dal sarto a recuperare la mia gonna rammendata. Il sarto è molto carino e gentile, a parte il fatto che chiama il Pucciu Badim, che non è il suo nome vero. Ma tanto la seconda identità del Pucciu è Nadin; questo quando lo volevano assumere per una sostituzione di maternità, ma lasciamo perdere.

Un fidanzato che si chiama Giovanni sarebbe per me un gran sollievo.

Ritornando al sarto, sperimento con lui il mio povero ebraico: il Pucciu mi dice la frase che devo dire, io la memorizzo, la ripeto come un mantra per la strada prima di arrivare dal sarto, entro e dopo il canonico “Shalom”, a macchinetta gliela ripeto.

Tutto ciò incurante di un signore in mutande in piedi su uno sgabello nel mezzo del negozio.

Signore, che ci fa in mutande? Siamo in una città superpudica, il negozio è cinque metri quadri e lei sta proprio in vetrina.

Mentre io ripeto implacabile: “devo prendere la mia gonna, il nome è Pucciu”

e noto i suoi boxer scozzesi

lui comincia a cadere lentamente ma inesorabilmente dallo sgabello, con i pantaloni alle ginocchia.

“devo prendere la mia gonna, il nome è Pucciu”

Il signore sta effettivamente crollando. Il sarto mi dice, ma io non capisco, che per la vergogna provata il tizio sta cadendo, di aspettare, e il Pucciu sghignazza.


“devo prendere la mia gonna, il nome è Pucciu!”

Dopo tale frisson, a gomiti larghi andiamo dal panettiere iracheno, affrontando la folla del pre shabbat, nella quale si distinguono per ferocia incontrollata le vecchie con il carrellino che sono a caccia di cibarie per la cena di venerdì e per il sabato. Il panettiere praticamente ci tira le focacce (smanacciate da circa 10 clienti prima di noi) mentre distribuisce challahot il pane intrecciato tipico dello shabbat, ad altri avventori.



Se siamo fortunati, finiamo le spese prima che gli ultraortodossi comincino a berciare di muoversi che tra poco è Shabbat (qui adesso scatta verso le 17.00, segnalato da una sirena), prima che veniamo fermati da mendicanti che chiedono soldi perché non hanno cibo per celebrare Shabbat, e prima che io mi infili nel negozio delle spezie e compri l’ennesima spezietta senza la quale il nostro cibo non renderà al meglio e la mia vita non avrà più un senso, provocando così una crisi isterica al Pucciu.

Gentilmente invitati per il pranzo di sabato da una famiglia italiana molto simpatica e piuttosto osservante, ci si aprono una serie di interrogativi: a Shabbat non si possono “portare” (trasportare) cose. Quile azioni proibite di Shabbat. Possiamo portare cibo? Si potrebbe ma noi, in quanto non ebrei, non rispettiamo la casherut. Possiamo portare vino? Si potrebbe ma alcuni non stappano bottiglie di Shabbat. Portiamo fiori? No, perché magari si devono tagliare e di Shabbat non si taglia. Alla fine, non portiamo nulla, solo l’ombrello perché forse pioverà.

Pranzo di sedici persone: bambini e ragazzi in maggioranza, a testimonianza della struttura demografica del paese, dove i giovani sono la maggioranza. Il capofamiglia benedice pane e vino mentre intorno è un caos allegro: infanti corrono – e parlano tre lingue - ragazzini spettegolano, poi tutti cantano in risposta alla benedizione. Il cibo tenuto in caldo su una piastra dal giorno prima (non si accende il fuoco né la luce di Shabbat) è stra-abbondante, e mi sembra paradossalmente, che sia un po’ Natale, ma senza i parenti vecchietti che si ubriacano o che scalpitano per tornare a casa dopo gli agnolotti.

venerdì 13 marzo 2009

Trance & Purim

A causa di eventi inaspettati, pure belli, se io non fossi troppo contorta per apprezzarli, vivo in un mondo solo mio, dove sto valutando tutte le possibili conseguenze di una serie di decisioni, anzi di una sola importante che devo prendere in questi giorni.

Emergo solo per fare domande deficienti al Pucciu e per poi non ascoltare le risposte. Lui senza pietà mi trascina comunque a correre in un parco vicino a casa, e corriamo vicino ad un antico convento; così se muoio di fatica, mi accascio sulla porta e per l’estrema unzione ci va un secondo.

Però, anche correre nel parco ha un suo perché; a parte rassodare le cicce, si possono fare interessanti studi sociologici. Se al parco ci si va di venerdì, ci sono pochi ebrei, perché è lo shabbat, ma ci sono molti arabi, perché è il loro giorno di riposo, mentre invece di sabato ci sono ebrei ma non molti arabi.

Tutti però grigliano alla grande; ulteriore testimonianza che i due popoli non sono poi così diversi, almeno per certi aspetti.

Corse e trance a parte, questa settimana si è celebrata la festa di Purim, e a parte la gente che si ubriaca per le strade, perché si deve bere fino allo sfinimento, i bambini e gli adulti in costume, noi abbiamo preso un giorno libero per visitare la parte musulmana della città vecchia e per scassarci di orecchie di Haman, che sono il dolce tipico per Purim. Uno dei ripieni classici è un mix di miele e semi di papavero (pereg), il Pucciu ha detto “pegher” (=carcassa); poi sono IO che mi lamento che questa lingua non è molto facile.



A parte lo suk, dove io perdo il controllo e comprerei tutto, la parte musulmana della città offre scorci interessanti: tombe di principesse, caravanserragli, e, nella parte più residenziale, vicino alla porta di Erode, uno spaccato di vita locale con pochi turisti: selve di bambini che usciti dalla scuola gestita dall’UNRWA, si scassano di ghiaccioli, si menano come fabbri e ti salutano gentilmente, chiedendoti in ottimo inglese dove vuoi andare.



Un ragazzino ci ha mostrato la via per i tetti, dove la vista è questa:



Ed una bambina ci ha scortato direttamente ad un certo Monastero delle Lenticchie, almeno, questa è la traduzione dall’arabo del Pucciu.



Un elemento che francamente "stona" sono gli ultraortodossi che per ragioni ideologiche vanno a vivere nella parte musulmana della città. Una pratica, insieme agli insediamenti, decisamente condannata a livello internazionale .



Poi, tornati a casa: la folla che celebra Purim. Street party improvvisato dietro a casa: gente travestita, traffico bloccato con gente che sale sulle macchine a ballare.



C’era anche un ultraortodosso con sotto il pastrano un costume da superman- non riuscirò più a pensare a superman allo stesso modo.

lunedì 9 marzo 2009

Che non si dica che (ricamo e Golda Meir)




Il Pucciu non è un uomo fortunato. Ora che la smodata attività di décor della casa è in pieno fulgore, gli ho ricamato con le mie sante manine una inequivocabile dichiarazione d'amore, che si vede inquadrata qui sotto (la foto fa schifo).




Quindi per tutte le mie manie, repentini cambi di umore e cattiverie, ho espiato i miei peccati. Se mi dice qualcosa ho sempre in canna: Ma io ti ho seguito a Gerusalemme e non vedi che bel quadretto ti ho fatto? C'è gente che pagherebbe per una cosa così!


Sto in una botte di ferro.



La vita a Gerusalemme procede e sono un po' più conscia di dove sono: da inchiodata al lavoro sarei anche potuta essere a Moncalieri e l'anelito femminista si è gloriosamente risvegliato grazie ad una divorziata 14enne ultraortodossa , e a una filmaker che esplora il ruolo delle donne nell'ortodossia ebraica. Prevedo a breve l'arrivo di un pippone.


Tra le rivelazioni letterarie di questi giorni, che non si dica che non sono intellettuale:


1) Richard Scarry in ebraico.
Ancora troppo difficile per me da capire, mi serve per far esercizio di lettura in ebraico: far piangere un bambino di tre anni perchè gli ho preso il suo libretto è cosa piuttosto imbarazzante.



2) Autobiografia di Golda Meir, che oltre a raccontare una vita straordinaria (da povera ebrea russa emigrata negli States a primo ministro di Israele) ha il vantaggio di descrivere in dettaglio la nascita dello Stato d'Israele: naturalmente secondo una prospettiva ebraica, che lascia decisamente poco spazio alla prospettiva della popolazione araba.

venerdì 6 marzo 2009

Anì lo medaberet ivrit (= non parlo ebraico)

Il mio ebraico fa passetti minuscoli: ieri dialogo surreale con il vicino Shimon. A parte che bussa alle 11 di notte. Io ero da sola, il Pucciu in teoria era al telefono pubblico a telefonare ai suoi-questo devo verificarlo.

Apro pensando fosse il Pucciu, non è lui. È Shimon. Mi parla in ebraico, gli dico in ebraico che non parlo ebraico ma inglese. No problem, parla inglese.

“Tek gaz?” Shimon, non ci siamo, a meno che tu non voglia intendere il legno “teak” che pure a me piace moltissimo, ma non credo sia il soggetto della comunicazione.
Io: “Gas”
Lui: “Ken=sì, Natasha, Natalia, Natasha, gas”.

Natasha/Natalia viveva nel nostro appartamento ed è russa; ci ha smollato una preziosissima bombola del gas vuota, che qui rubano appena ti giri, da restituire a Shimon. Di lei sappiamo che ama moltissimo Leo di Caprio.

Qui apro parentesi: ci sono parecchi russi in Israele, credo il 20% della popolazione e spesso non sono molto amati perché – ma credo questo valga solo per le prime generazioni - non parlano la lingua, non si integrano, molti non sono ebrei comme il faut per le autorità religiose ed in più hanno portato il maiale in Israele, che è proibitissimo dalla kasherut
.

Ritornando a noi:

Io: “Ahhh. Natasha, gas e faccio segno di una triangolazione Natasha-noi- e noi che l’abbiamo portato alla forse fidanzata russa di Shimon che non parla ebraico (e chissà se ama anche lei Leo di Caprio, spero di no perchè Shimon è proprio diverso da Leo)”
Lui: “Ahh”

E così si conclude la conversazione: sono certa che la situazione possa solo migliorare.