martedì 4 luglio 2006

Mamma li coreani

Lei è dovuta andare fino a Toronto per respirare un’aria internazionale. Finendo poi per maturare un inconfessabile odio per i messicani. A me, più modestamente, è bastato scendere una rampa di scale, per scoprire, sotto i maleodoranti fast foods della University of Cincinnati, una sorta di bar sport popolato da un sottobosco di ingegneri iraniani, chimici pakistani, tecnici di computer cinesi, e derelitti assortiti accomunati dalla passione per i mondiali di calcio. Una babele linguistica e culturale a 5 minuti da casa, altro che storie.
Pescando nel mucchio – manco a dirlo – i più inquietanti risultano i coreani. Lo ammetto: non o mai mandato giù la sconfitta del 2002 ad opera dei famigerati “mangiacani con i capelli color Crodino”. In questi 4 anni, il colore tipico dei capelli si è ulteriormente schiarito, virando verso il Baby Gold; sui cani non mi pronuncio, anche se ricordo con una certa preoccupazione la grigliata coreana assaggiata a New York.
Per la partita contro la Svizzera i tifosi sudcoreani si erano organizzati con magliette rosse, macchina foto per immortalare la “curva”, e folcloristici cori non appena un loro giocatore toccava la palla oltre la metà campo. Infervorati ma con ordine scandivano i cognomi dei loro beniamini all’unisono, alternandoli ad improbabili “oche, oche!” di approvazione, ad urla e ad applausi vari.
Un sorriso perfido mi si è stampato sulla bocca quando il secondo gol svizzero li ha zittiti.

3 commenti:

  1. le esperienze al di fuori dei propri confini servono a rendere più aperta e tollerante la mente.
    Ragazzi che fate? Al vostro ritorno vi iscriverete alla Lega, magari sezione svizzera?

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  2. Tolle... che?
    Merano caput mundi!

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  3. Mi dissocio dalle dichiarazioni del Pucciu.
    Le ragioni della mia scarsa tolleranza in quel di Toronto non erano razziali ma accademiche.
    La verità vera è che al Pucciu non è andata giu' la vittoria coreana di 4 anni fa...

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